La parola “fantascienza” si appresta a compiere cent’anni di vita, ma la sua storia affonda le radici in un passato molto, molto lontano, in quella che per lungo tempo venne definita “letteratura fantastica” o “dell’immaginario”, e che proprio in Italia ebbe la sua culla e i suoi esempi più straordinari con “La divina commedia” di Dante e i poemi eroico/cavallereschi dell’Ariosto e del Tasso.
Questa la premessa delle due conferenze intitolate “Il racconto fantastico in Italia” che ho avuto l’onore di tenere nel 2024: la prima, in aprile, presso le sede dell‘Istituto Italiano di Cultura di Praga (Repubblica Ceca), in collaborazione con la scrittrice Caterina Mortillaro; la seconda, a novembre, all’Istituto Italiano di Cultura di Edimburgo (Scozia), coadiuvato da Marco Palone, scrittore e lettore Maeci presso la locale università.
L’excursus è partito un po’ provocatoriamente con “Il Milione” di Marco polo, che il critico Carlo Pagetti volle molto generosamente far rientrare nella cosiddetta protofantascienza in ragione del fatto che l’incontro del mercante veneziano con il mondo “alieno” del lontano Oriente ebbe tutto il sapore di una sorta di “primo contatto”.
Fu però con la seconda metà del XIX secolo e la comparsa sulla scena letteraria internazionale di autori come Jules Verne, Mary Shelley, Edgar Allan Poe e H.G. Wells che anche in Italia si cominciò a parlare di romanzi popolari e di avventura autoctoni. Merito di un primo manipolo di intellettuali che si misurò con storie visionarie e pseudoscientifiche (Salgari, Pirandello, Alvaro, Landolfi, Scerbanenco e altri).
Sarà però con la metà del Novecento che l’etichetta “fantascienza” acquisirà a tutti gli effetti lo status di genere letterario di ampia diffusione popolare, grazie anche alla nascita, nel 1952, della collana “Urania”. A testimonianza della sua presa su una fetta non trascurabile di lettori alla ricerca di avventura e intrattenimento, nasceranno però contestualmente anche i primi pregiudizi verso una forma espressiva considerata da letterati e critici come immatura, adolescenziale e di serie B.
Ciò non fermerà comunque dal cimentarsi con “storie di scienza e fantasia” autori celebrati dall'”editoria alta”, come Buzzati, Levi e Calvino, in alcuni casi sotto mentite spoglie – usando pseudonimi – per sottrarsi alla spocchia e allo sbeffeggio degli intellettuali dell’epoca (leggasi i casi di Vittorini che bocciò senza appello “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien, ma anche quelli di Moravia e del bistrattatissimo Guido Morselli).
Ebbene, dal 1962 al 1989, finestra temporale in cui i nostri autori/intellettuali di punta espressero il meglio della loro produzione anche in ambito fantastico/fantascientifico, non compare su Urania un solo nome di scrittore italiano: 28 anni e 0 autori nostrani.
Dopo il diktat “A Lucca mai” di Fruttero e Lucentini, la panoramica sulla science fiction italica – e i suoi nobili antenati del “racconto fantastico” – è terminata ai giorni nostri, con una maturità consolidata sul campo e una dignità forse mai conquistata a pieno. Ma capace di regalare molto – sempre di più – ai suoi lettori appassionati…
Gli incontri hanno avuto anche una parentesi personale, con la presentazione del mio romanzo eco-distopico “Il trentunesimo giorno“ (Oscar Fantastica Mondadori, 2023) e sono stati accompagnati, il primo da una galleria di immagini degli illustratori Franco Brambilla e Giuseppe Festino e il secondo da una presentazione in Pdf delle più recenti copertine (anche alternative) del solo Brambilla.
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