Con il quarto dei cinque capitoli previsti (in tutto, guarda caso, saranno nove!), le nuove storie di Mondo9 imboccano decisamente la via del rettilineo finale. Insomma, la vicenda svolta. E sulla scena si affaccia un curioso ricongiungimento di personaggi. Ecco un assaggio…

La sirena diffuse un solo colpo, un peto baritonale e assordante che fece levare in volo nugoli di aliquadre.
Asur sporse la testa dal cornicione della terrazza al quindicesimo piano e guardò giù. Sotto il cielo infuocato del tramonto, il porto di Mecharatt ferveva di attività; deserto come un vassoio di paprika e curry.
Decine di navi addossate al labirinto di banchine, alla fonda, in attesa del proprio turno per attraccare, o in manovra sulle dune più al largo…
Stesa accanto al mechardionico, Naila abbassò il cannocchiale e fischiò tra i denti: nulla di quello che aveva sempre avuto in testa, dipinto dai racconti del padre, poteva competere con lo spettacolo che le si parava di fronte. Visto dal vero, un porto era un prodigio di forme e colori da mozzare il fiato. Un viluppo di odori che pigliava alla gola.
Preceduto da otto piccoli pettinatori incaricati con i loro tappeti a strascico di spianare la sabbia davanti alla sua chiglia, un gigantesco cargo stava approssimandosi a bassa velocità al molo principale. Il metallo dei suoi ponti era gonfio di ruggine vecchia, tormentato di rughe e irto di schegge, così come gran parte dello scafo lasciato nella tinta del ferro crudo. Nessun gran pavese, neppure un vessillo a garrire nel vento. Solo un tanfo pestilenziale di putredine e morte che arrivava fin lassù.
“Che nave è?” chiese Naila strizzando le palpebre alla luce.
Non un marinaio in vista sui ponti, nonostante le manovre di attracco fossero ormai imminenti.
La Bastian, una torpediniera delle dune” rispose Asur (la catena lo univa ancora alla ragazzina, ma questa volta Naila teneva l’altro capo stretto nel pugno anziché infilzato nel cuore con uno spillone). “Caccia qualsiasi cosa il suo comandante ritenga abbia un prezzo e possa essere rivenduto al mercato. Sta’ a vedere”.
“Perché puzza così?”.
Tre fischi prolungati e la formazione a cuneo dei minuscoli pettinatori si aprì con geometrica sincronia disegnando sulla sabbia due immensi arabeschi: la nave percorse una cinquantina di metri senza scorta, coi motori al minimo, districandosi dai petali tracciati nel deserto come un’immensa banana che lasciasse pian piano trapelare all’interno la sua polpa di ferraglia arrugginita.
È il suo carico che fa questo odore, lo riconoscerei tra mille. Vedi qualcosa in coperta?”.
“Sì”.
Deve avere le stive piene”. Spiegò Asur inalando rumorosamente dalle narici sensibilissime. “Aspetta, c’è una presenza strana… incompleta. Dimmi che cosa vedi!”.
Qualcosa di nauseabondo marciva a poppa: la carogna gonfia di gas e mutilata delle pinne di un’enorme verdesca delle dune, 5-6 metri di lunghezza per almeno 7 tonnellate di peso. Molto più in alto, incatenata a braccia e gambe larghe ai due fumaioli, s’indovinava la sagoma controluce di un mechardionico gigante. Quattro o cinque metri d’altezza, ferro grezzo e possente. La testa deforme reclinata su una spalla.
“Uno strappacuori!” fece Naila, voltandosi a guardare il compagno. “Alto come l’albero di un brigantino”.
Uno? Quattro probabilmente, uno per ogni catena! La forma è un vezzo scenico. E poi cosa vedi?”.
“Un pesce. Senza coda”. Non sapeva ancora perché diamine fossero arrivati laggiù, ma il volo in pettinatore era stato l’esperienza più affascinante che avesse mai sperimentato in vita sua.
Senza coda, hai detto?”. Attraverso gli anelli della catena, il tono della sua “voce” si era fatto cupo e pensieroso.
La nave tossì un nuovo colpo di sirena, rallentò ancora. La prima batteria di ruote si preparò a baciare il molo con un tocco di caucciù contro pietra.
Sulla banchina, un portuale in caffettano raccolse la cima gettata da bordo e si affrettò ad avvolgerla attorno a una bitta d’ormeggio a forma di testa di alaquadra.
“Siamo qui per quella nave, vero?”.
L’avevano seguita dall’alto, un’insignificante zanzara di metallo sopra un pachiderma che aveva finalmente scelto, dopo innumerevoli avventure, di tornare a casa.
Conosco il comandante, cerchiamo entrambi la stessa cosa da anni”.
“È un… umano?”. Naila aveva tenuto la parola in bocca per un po’, ma alla fine si è era decisa a sputarla.
Il mechardionico si voltò, i suoi occhi ciechi la cercavano nel vuoto. “Non lo rimarrà per molto, ormai. Il Morbo se lo è preso tempo fa!”.
“Ma non sai se diventerà uno strappacuori, è così? Hai paura che muoia prima!”.
Asur le fece cenno di alzarsi e di ritrarsi dall’orlo della terrazza. Avevano visto abbastanza, e poi la nave aveva attraccato. Potevano solo aspettare. “Ti va di mangiare?”.
“Possiamo?”.
Le scartoffie burocratiche dureranno un po’, e il comandante dovrà firmare una valanga di carte. Abbiamo tempo per buttar giù un boccone. Tu, intendo!”.
Naila si portò a ridosso del piccolo pettinatore di metallo; a terra appariva ancora più insulso di come lo ricordava in quota. Si chiese come accidenti facesse un coso del genere a volare… Ma ora almeno sapeva perché erano atterrati in cima a uno dei palazzi più alti intorno al porto.
“…Nel quartiere mechardionico” volle precisare Asur, che dalla catena ricavava non solo le parole ma anche i pensieri della ragazzina.
“Okay, ma che differenza fa? Un posto vale l’altro”.
Un fremito nel metallo, il solito ghigno intraducibile. “Non ne sarei così sicura, ragazzina. Qui nulla è come sembra. Togliti da lì, se non vuoi finire in pasto al palazzo”.